giovedì 2 maggio 2024

 IL MORBO DI OSGOOD -SCHLATTER






Il morbo di Osgood-Schlatter, noto anche come  osteocondrosi dell'apofisi tibiale anteriore o apofisite da trazione del tubercolo tibiale, è una delle più comuni cause di dolore in sede anteriore al ginocchio che si manifesta negli adolescenti, durante l’accelerazione della crescita che si verifica in pubertà.
La malattia esordisce tra i 10 e i 15 anni per i maschi e tra gli 8 e i 13 anni per le femmine. Si manifesta più frequentemente nei ragazzi e nelle ragazze che praticano sport come la corsa, il salto, il basket, la pallavolo, la ginnastica e il calcio.
Di solito colpisce un ginocchio, ma può coinvolgere entrambe le ginocchia (20-30% dei casi). La frequenza del morbo di Osgood-Schlatter è tre volte maggiore nei maschi rispetto alle femmine.
Il Morbo di Osgood-Schlatter è causato da trazione ripetuta ed eccessiva del tendine della rotula nel punto in cui si inserisce sulla tibia. Si verifica soprattutto in seguito a sollecitazioni ripetitive durante l’attività sportiva, che causano microtraumi.
Ciò avviene perché la crescita delle ossa supera la capacità del muscolo e del suo tendine di allungarsi sufficientemente da mantenere abbastanza flessibilità, determinando un’eccessiva tensione sull’estremità della tibia che provoca irritazione e dolore. In casi gravi può portare al distacco parziale dell’apofisi (la parte sporgente dell’osso su cui si inserisce il tendine).
La scarsa flessibilità del muscolo quadricipite e dei muscoli posteriori della coscia possono essere cause scatenanti, mentre altre volte può essere coinvolto il meccanismo che permette di estendere il ginocchio.
La diagnosi della malattia di Osgood-Schlatter è clinica e si basa sulla visita dello specialista che rileva una sporgenza morbida, dolente alla palpazione, in corrispondenza della regione anteriore del ginocchio (la tuberosità tibiale) nel punto in cui si inserisce il tendine rotuleo.
Possono risultare difficili i movimenti di flessione ed estensione attiva e passiva del ginocchio.



La radiografia può essere utile per rilevare se vi è un distacco osseo o un evento traumatico a carico del ginocchio.
Talvolta, su indicazione dello specialista, può rendersi necessaria l’esecuzione di esami strumentali più sofisticati come Risonanza Magnetica o Tomografia Computerizzata.
Il morbo di Osgood-Schlatter è una malattia benigna che di solito guarisce spontaneamente. I sintomi tendono a scomparire con il progredire della maturazione scheletrica, a volte può richiedere diversi mesi. La cura consiste nel mantenere il paziente attivo ma senza dolore.
L'applicazione locale di ghiaccio e una terapia antidolorifica possono essere necessarie in caso di dolore intenso. 
Talvolta può essere utile indossare un tutore protettivo per il ginocchio per proteggerlo da un eventuale trauma diretto.
L'allungamento dei tendini del ginocchio e gli esercizi di stretching della catena muscolare posteriore e di rinforzo del quadricipite possono costituire un utile complemento. Nei casi gravi e di una lunga durata dei sintomi può essere anche preso in considerazione un breve periodo di immobilizzazione del ginocchio. 
Un’abnorme sporgenza della tuberosità tibiale, all’estremità superiore della tibia, può permanere come segno residuo della malattia ma molto raramente è causa di sintomi una volta terminato l’accrescimento.
Se Il morbo di Osgood-Schlatter viene trascurato può causare dolore anche in età post-puberale, rendendo necessario un intervento chirurgico per rimuovere frammenti ossei o per rimediare a un distacco osseo. 

 


mercoledì 1 maggio 2024

 

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA



Dipartimento di Scienze Biomediche

Corso di Laurea Triennale in Scienze Motorie 

Tesi di Laurea 

Relatore: Prof. Francesco Pagano 
Laureando: Riccardo Catapano



L’ALLENAMENTO DELLA FORZA IN ETÀ EVOLUTIVA 







Prima di iniziare a parlare dei contenuti effettivi di un’ipotetica programmazione per l’allenamento della forza vale la pena soffermarsi su altri due argomenti di rilevanza, che risultano essenziali per chi pianifica l’attività dei giovani e per capire quali esercizi svolgere e come svolgerli. Si tratta del sesso e dell’età dei soggetti, due fattori che sono stati già accennati quando si è parlato del miglioramento della performance atletica a lungo termine, e che sono stati anche considerati fattore di rischio nello studio riguardo agli infortuni e alla probabile correlazione con la sindrome da overtraining. Differenze tra maschi e femmine Durante l’infanzia la forza dei maschi e delle femmine cresce in maniera relativamente lineare, e dipende esclusivamente dalla maturazione del sistema nervoso centrale (reclutamento delle unità motorie, frequenza di scarica, sincronizzazione…). La questione cambia all’inizio dell’adolescenza, quando per i maschi entrano in gioco a favore anche i cambiamenti strutturali dati dall’aumento delle concentrazioni ormonali di testosterone e GH (che portano all’incremento dell’altezza, della massa corporea ed in parte anche della massa muscolare), mentre le femmine continuano a svilupparsi in maniera più lineare. Altre due precisazioni vanno fatte riguardo al genere femminile: la prima riguarda che qualora ci fossero scarsi adattamenti neuromuscolari in corrispondenza con la crescita muscolo-scheletrica potrebbero insorgere anomalie nella struttura delle articolazioni e potrebbero aumentare i fattori di rischio (abbiamo visto, ad esempio, come un programma pre-abilitativo di strength-training, condizionamento cardiovascolare e flessibilità possa prevenire gli infortuni al legamento crociato anteriore); la seconda invece che lo strength-training possa permetterci di misurare indicativamente l’impennata di crescita in termini di forza, potenza e coordinazione (cosa che nei maschi, diversamente, risulta più semplice da vedere anche senza allenare la forza) (Lloyd et al., 2014). Nel 2009 uno studio ha voluto misurare la tensione specifica del quadricipite in 20 soggetti adulti e 20 bambini (divisi equamente tra maschi e femmine). La tensione specifica è stata calcolata come il prodotto tra la forza espressa dal muscolo ed il coseno dell’angolo di pennazione del muscolo, il tutto diviso per la sezione trasversa fisiologica (essendo il quadricipite un muscolo dotato di 4 capi, nel calcolo sono stati considerati l’angolo e la sezione trasversa per ognuno di essi). La forza del muscolo è stata misurata mediante MVC in estensione di ginocchio, andando ad escludere un’eventuale co-attivazione dei muscoli antagonisti (ovvero i flessori del ginocchio, in questo caso) tramite elettromiografia, mentre la sezione trasversa fisiologica è stata calcolata mediante risonanza magnetica. Si è visto come la forza muscolare espressa e la sezione trasversa siano state maggiori per gli uomini (11,4 kN, 214 cm²) rispetto alle donne (8,7 kN, 152 cm²), mentre non ci sono state differenze sostanziali tra bambini (5,2 kN, 99 cm²) e bambine (6,1 kN, 102 cm²), dimostrando quanto precedentemente affermato. Infine, la tensione specifica è risultata simile per tutti i gruppi (55±11 N cm-² per gli uomini,  57,3±13 N cm-² per le donne,  54±14 N cm-² per i bambini e  59,8±15 N cm-² per le bambine), dimostrando che l’aumento della forza muscolare successivamente alla maturazione non è dovuta ad un aumento della tensione specifica del muscolo, ma piuttosto (come trattato in precedenza riguardo ai cambiamenti strutturali maschili in adolescenza) ad un aumento delle dimensioni di quest’ultimo.


I benefici dell’allenamento della forza in età giovanile sono molteplici e vengono riconosciuti sempre di più col passare degli anni, tant’è che ad esempio numerosi bambini e ragazzi che entrano a far parte del mondo dell’agonismo richiedono una sempre maggiore prestanza fisica per poter accompagnare le esigenze poste dai programmi di allenamento in relazione allo sport specifico di riferimento. In generale possiamo racchiuderli tutti in tre grandi categorie: il miglioramento della performance, la salute e promozione di uno stile di vita sano e la prevenzione degli infortuni.
Come già anticipato, nella maggior parte dei casi il miglioramento della forza muscolare in età evolutiva sarebbe attribuibile non tanto all’aumento della dimensione delle fibre muscolari (ipertrofia), quanto ai fattori neuromuscolari coinvolti come il reclutamento delle unità motorie. A riguardo è stato condotto uno studio nel 1994 in cui 16 ragazzi di circa 10 anni (8 maschi e 8 femmine) sono stati suddivisi casualmente in gruppo di controllo e gruppo sperimentale: il gruppo sperimentale ha svolto 3 serie da 7-11 ripetizioni di curl con manubri (un esercizio principalmente per il bicipite brachiale) 3 volte alla settimana per 8 settimane, ed all’inizio e alla fine di ogni seduta è stata misurata la forza isotonica (a tensione costante), la forza isocinetica (a velocità costante), l’elettromiografia del bicipite brachiale (l’attività elettrica del muscolo, per vedere quanto è coinvolto) e la circonferenza del braccio. Alla fine il gruppo di controllo non ha dimostrato cambiamenti significativi, mentre quello sperimentale ha migliorato la forza isotonica del 22,6%, quella isocinetica del 27,8% e l’attività elettromiografica del bicipite brachiale del 16,8%, senza invece ottenere cambiamenti corrispondenti per quanto concerne la circonferenza del braccio (Ozmun et al., 1994). Ciò nonostante, non è da escludere che adolescenti aventi una quantità sufficiente di androgeni circolanti (quindi durante e dopo la pubertà) possano sfruttare a loro vantaggio anche lo sviluppo di massa muscolare derivata da un allenamento della forza, anche se attualmente sono necessari ulteriori accertamenti a riguardo. Nel 2013, ad esempio, 134 giovani calciatori d’elitè, divisi in categoria A (under 19), B (under 17) e C (under 15), sono stati coinvolti per svolgere il primo studio in assoluto che includesse un allenamento della forza per un periodo prolungato di oltre due anni. Ciascuna categoria è stata divisa in due sottogruppi: il gruppo di controllo, che doveva svolgere regolarmente solo gli allenamenti di calcio abituali, e quello dello strength training, che in aggiunta avrebbe dovuto svolgere due allenamenti di forza alla settimana (più precisamente periodizzati in una fase di ipertrofia e un’altra di coordinazione intramuscolare). Gli allenamenti in questione dovevano comprendere front squat e back squat (due esercizi di gambe) una volta alla settimana, i quali sarebbero poi stati utilizzati nei test come esercizi di valutazione ad inizio studio e a fine studio insieme ad uno sprint sui 30m. In aggiunta, è stata raccolta una serie di dati antropometrici col fine di valutare anche le modificazioni strutturali dei soggetti. Basandosi sui dati ottenuti alla fine dello studio, i gruppi dello strength training nelle categorie A e B hanno ricavato un miglioramento della forza maggiore del 56%-80% rispetto ai gruppi di controllo delle stesse. Diverso è il caso del gruppo dello strength training della categoria C, con un miglioramento maggiore del 230%-250% rispetto al suo gruppo di controllo. Il motivo di tale notevole incremento è attribuibile ai cambiamenti morfologici e strutturali tipici dell’età di riferimento, infatti in questa categoria vennero rilevati marcati aumenti di peso e delle dimensioni corporee nel corso dell’esperimento, e come già spiegato l’aumento del numero di fibre muscolari influisce positivamente sulla produzione di forza. Ciò che però non ci fornisce un dato attendibile al 100% sull’utilizzo dello strength training in età giovanile per lo sviluppo dell’ipertrofia è appunto il fatto che non sappiamo se essa sia derivata esclusivamente dalla mera evoluzione biologica oppure da effettivi miglioramenti causati dall’allenamento effettuato dal gruppo dello strentgh training (Sander et al., 2013). Fatta questa premessa, possiamo effettivamente spiegare come lo strength training possa tornarci utile nel campo pratico durante lo sviluppo a lungo termine di un atleta sia per quanto riguarda lo status di fitness generale che per la propria disciplina sportiva. Numerose ricerche hanno ormai constatato come l’allenamento della forza in età giovanile produca, logicamente, maggiori incrementi per quanto riguarda l’espressione pura della forza, ma anche leggeri-moderati incrementi sulla potenza, sulla resistenza muscolare e sulla performance atletica, sempre in relazione all’età e al sesso specifico di riferimento (Granacher et al., 2016). Ora si entrerà nel dettaglio per ciascuna di queste quattro capacità: 

Forza muscolare: 

l’esperimento svolto dai 134 calciatori già citato precedentemente basterebbe per confermare questa tesi, vista la durata dello studio ed i risultati ottenuti in termini di miglioramento dell’1RM, ma ad avvalorare quest’ultima si può citare anche un altro esperimento svolto questa volta nel mondo del basket e con tre gruppi sperimentali invece di due. Nel 2012, 38 giovani giocatori di basket (17 maschi e 21 fondamentale per i processi di modellamento e rimodellamento osseo in relazione alla BMD (Bone Mineral Density) durante l’età evolutiva (Faigenbaum et al., 2009). Nel 2006 uno studio longitudinale durato 2 anni ha permesso di analizzare gli effetti dell’allenamento con sovraccarico mediante la correlazione tra forza muscolare (da cui origina la maggior fonte di carico per il tessuto osseo) e la BMD. 258 ragazze tra i 10 e i 13 anni (ciascuna con 1-5 ore di allenamento con sovraccarico alla settimana) sono state sottoposte ad una serie di misurazioni prima e dopo due anni, tra cui la BMD mediante DEXA e la MVC (Maximal Voluntary Contraction) dei flessori del gomito e degli estensori del ginocchio mediante dinamometro. Alla fine tramite una retta di regressione lineare si è visto come questi due dati fossero strettamente correlati sia per le braccia che per le gambe (BMD aumentata del 35% ± 12% per le braccia, 39% ± 11% per le gambe, MVC aumentata del 24% ± 16% per i flessori del gomito, 33% ± 22% per gli estensori del ginocchio), e inoltre, il coefficiente di correlazione non differiva tra arti superiori e inferiori (r²=0,54 braccia ed r²=0,50 gambe). Tuttavia, il rapporto BMC/MCV era maggiore del 30% per le gambe rispetto alle braccia (0,97 contro 0,70), stando ad indicare un effetto del sovraccarico più alto negli Potenza muscolare: la pliometria è una tecnica di allenamento della forza basata sul principio che un brusco allungamento durante la fase eccentrica di uno o più muscoli risulti in un accorciamento rapido degli stessi durante la fase concentrica se eseguita subito dopo. Ne consegue, che entrambe le componenti della potenza (già menzionate in precedenza) vengono stimolate adeguatamente durante un allenamento di tipo pliometrico, e che quindi quest’ultimo risulti essere un tassello fondamentale per la potenza durante lo sviluppo a lungo termine di un atleta (Granacher et al., 2016). A confermare ciò, possiamo citare uno studio condotto nel 2009 che indagava sugli effetti della pliometria per le azioni esplosive di alcuni giovani calciatori. Sono stati chiamati a rapporto 14 giovani giocatori per far parte del gruppo dello strength training e 11 invece per il gruppo di controllo, tutti di età comrpesa tra i 12 e i 14 anni e tutti facenti parte della stessa squadra con due allenamenti di calcio a settimana da 90 minuti. Il primo gruppo, però, differentemente dal secondo ha svolto un programma pliometrico di 8 settimane che non si aggiungeva ai due allenamenti ma si sostituiva ad alcuni esercizi contenuti in essi (in sostanza, il tempo totale di allenamento è stato uguale per i due gruppi nel corso dello studio). Il programma comprendeva esercizi quali salti, salti a ostacoli, rimbalzi, skip e movimenti rapidi di gambe, mentre i test iniziali e finali di nostro interesse comprendevano lo squat jump (salto partendo da posizione statica a 120° di flessione di ginocchio), il counter movement jump (salto partendo a gambe tese e scendendo fino a 120° di flessione di ginocchio prima di risalire) e il contact jump (salto effettuato al contatto col terreno subito dopo aver saltato un ostacolo di 20 cm). Alla fine è stato registrato un incremento nell’altezza del CMJ del 7,9% e del CJ del 10,9% da parte del gruppo strength training rispetto a quello di controllo, dimostrando l’efficacia della pliometria per il miglioramento della performance in termini di forza e velocità (Meylan & Malatesta, 2009). 

Resistenza muscolare: 

si può considerare come l’abilità di esprimere una certa percentuale di forza submassimale, costante o ripetuta, per un determinato periodo di tempo resistendo alla fatica. Un esempio pratico è quello degli 800metristi, dove c’è bisogno di mantenere un’alta velocità nel movimento della corsa minimizzando però allo stesso tempo la fatica che andrebbe a diminuire il rendimento. Sebbene gli effetti positivi dello strength training nei confronti della resistenza siano inferiori e meno documentati rispetto a quelli per la forza e potenza muscolare, si può comunque tenere in considerazione quando si parla di miglioramento della performance grazie all’allenamento della forza (Granacher et al., 2016). Nel 2015, 20 giovani nuotatori nazionali dello stesso club sportivo (10 maschi e 10 femmine dai 15 ai 17 anni) sono stati reclutati per studiare gli effetti di un programma di allenamento specifico per il core (complesso di muscoli a livello lombo-addominale e pelvico con la funzione prima di stabilizzare il corpo durante il movimento), che avrebbe dovuto influire positivamente sia sull’esercizio specifico dei 50 metri stile che sulla potenzialità del core stesso in generale. Sono stati divisi poi in gruppo di intervento e gruppo di controllo, ciascuno avente 5 maschi e 5 femmine, dove mentre il secondo continuava a svolgere regolarmente solo il programma di allenamento in acqua il primo aggiungeva un allenamento specifico per il complesso lombopelvico e per le scapole 3 volte alla settimana per 12 settimane (con esercizi come il prone bridge, il side bridge, il bird dog, il leg raise…). Dopo aver effettuato i test sia all’inizio che alla fine dell’esperimento, si è notato come il gruppo di intervento rispetto a quello di controllo abbia incrementato la durata massima in secondi dell’esercizio prone bridge (2,1%16,4%), il numero massimo di ripetizioni nel pull down asimmetrico (un’esercizio principalmente per il dorsale ma con una richiesta specifica di stabilità per via dell’asimmetria, 13,7%-33,4%) e la massima contrazione volontaria dei muscoli del core (mediante elettromiografia), dimostrando che ci siano degli effetti positivi dello strength training anche sulla resistenza muscolare (Weston et al., 2015). • Performance atletica: con essa si intende l’insieme di tutti i gesti tecnici, i movimenti complessi e le tattiche in relazione ad uno specifico sport di riferimento, come ad esempio il tiro nel calcio, il servizio nel tennis, la partenza nel nuoto… La forza massimale o submassimale, la potenza e la forza resistente possono tornare utili per migliorare queste abilità e rispondere in maniera più efficace alle richieste imposte dagli allenamenti e dalle competizioni atletiche a lungo termine (Granacher et al., 2016). Basta prendere come esempio esplicativo gli studi già citati precedentemente: in quello di Klusemann sul basket, il gruppo dello strength training supervisionato e con video hanno migliorato del 3-5% ± 2-4% la propria prestazione in test specifici come il salto verticale, lo sprint sui 20 metri e lo yo-yo test rispetto al gruppo di controllo (Klusemann et al., 2012); con Meylan e Malatesta i giovani calciatori sottoposti a pliometria hanno ridotto significativamente i loro tempi nello sprint sui 10 metri (22,1%) e in un test di agilità (29,6%) (Meylan & Malatesta, 2009); infine, Weston nel suo studio ha dimostrato per la prima volta come un allenamento specifico per il core possa migliorare le tempistiche nei 50 metri stile (diminuzione del tempo impiegato da parte del gruppo di intervento dello 0,2%-3,8%) (Weston et al., 2015). Facendo riferimento all’esempio del tiro nel calcio, è stato condotto un altro studio nel 2014 che tra i vari test presi in esame si proponeva anche di valutare l’eventuale miglioramento della massima distanza di tiro in seguito ad una programmazione di tipo pliometrico. Sono stati chiamati 76 giovani calciatori di età compresa tra i 12 e i 15 anni, di cui 38 hanno continuato a svolgere i loro due allenamenti di calcio alla settimana regolari (gruppo di controllo) mentre gli altri hanno implementato 7 settimane di allenamento pliometrico (gruppo di allenamento). Tra l’inizio e la fine è stato registrato un miglioramento del 14% da parte di quest’ultimo per quanto riguarda la MKD (Maximal Kicking Distance), dimostrando come un allenamento di tipo pliometrico possa essere utile in alternativa agli esercizi tipici del calcio per il miglioramento della forza e della potenza (Campillo et al., 2014). 

Quando cominciare? 

Innanzitutto bisogna fare una premessa riguardo all’età come dato da tenere in considerazione per programmare l’attività sportiva. A causa dell’alta soggettività per quanto concerne la crescita e la maturazione in età giovanile, bambini e ragazzi della stessa età cronologica (cioè l’età effettiva del soggetto) possono invece variare in maniera considerevole per quanto riguarda l’età biologica (età che si può attribuire ad un soggetto per le sue caratteristiche morfologiche e funzionali), fino ad arrivare a differenze di addirittura 4-5 anni. Ne consegue che l’età cronologica sia un debole indicatore dello sviluppo e preparazione del nostro giovane atleta, e che quindi all’interno delle programmazioni a lungo termine sia più idoneo utilizzare l’età biologica come punto di riferimento piuttosto che effettuare gruppi e classificazioni in base agli anni (Lloyd et al., 2014). In ogni caso, l’ASCA nel suo documento di posizione dà un’opinione in merito all’età più adatta per approcciarsi allo strength-training. Essa sostiene che se un bambino è in grado di svolgere attività strutturate ed organizzate come calcio, basket, rugby… allora allo stesso tempo può ritenersi già pronto per svolgere anche un programma supervisionato di strength-training, quindi la differenza non la fa tanto l’età in sé quanto la capacità di saper seguire le istruzioni. Alcuni bambini potrebbero addirittura vedere la sala pesi come una grande stanza dei giochi dove correre e lanciare gli oggetti senza applicare l’impegno e la concentrazione necessari per allenarsi e seguire le indicazioni del proprio allenatore, il che potrebbe essere pericoloso e deleterio se si considera la presenza di pesi, dischi e macchinari (che, come abbiamo visto, potrebbero costituire il più comune fattore di rischio per l’allenamento della forza in età evolutiva, ovvero gli incidenti). In caso contrario, un bambino in grado di ascoltare le indicazioni fornite e mettere in atto il comportamento più adeguato per mantenersi in sicurezza può entrare nel mondo dello strength-training se ha compiuto almeno 6 anni, l’età di accesso alla scuola elementare (Wilson et al., 2017).  Ad avvalorare questa tesi c’è uno studio effettuato dal più volte citato autore Avery D. Faigenbaum per valutare la sicurezza ed efficacia del test 1RM per i bambini e per gli adolescenti. 32 bambine/ragazze e 64 bambini/ragazzi tra i 6,2 ed i 12,3 anni hanno effettuato una serie di test massimali sotto la supervisione di un personale qualificato nei seguenti esercizi: panca piana, chest press (due esercizi per la parte alta), leg press e leg extension (due esercizi per la parte bassa). Alla fine, ciascun soggetto ha svolto il test e ricavato il dato di interesse senza incorrere in infortuni od incappare in altre problematiche (ad eccezione di un partecipante, che non ha potuto svolgere i test degli arti inferiori per via di una patologia ortopedica), quindi anche un bambino che ha da poco compiuto 6 anni d’età può esprimere alti livelli di forza senza dover necessariamente scontrarsi con effetti collaterali (Faigenbaum et al., 2003). Oltre all’età cronologica e biologica, va presa in considerazione anche la cosiddetta “training age” (che nelle 14 linee guida è stata definita come “esperienza d’allenamento”), che appunto rappresenta la quantità di tempo impiegata nell’allenamento in generale o in relazione ad un determinato sport. Con un ragazzo adolescente che non ha mai sperimentato prima un allenamento della forza bisognerà avere un approccio completamente diverso da quello che si potrebbe avere con un bambino di 10 anni che, seppur più piccolo, ha già una tecnica consolidata (Lloyd et al., 2014). Nel caso del ragazzo adolescente, indipendentemente dall’età, bisognerà approcciare la tecnica dei fondamentali e sviluppare un livello di forza generale prima di inserire nell’allenamento gli esercizi indicativamente adatti alla sua età cronologica (poiché gli mancano delle basi solide). Nel caso del bambino, che dimostra eccellenti qualità in forza, potenza e velocità mantenendo sempre una tecnica corretta, si potrà invece inserire diverse tipologie di esercizi anche idonee alla sua età (Lloyd & Oliver, 2012). In ogni caso, il periodo ideale nel quale sviluppare le competenze motorie di base dovrebbe essere l’infanzia poiché la coordinazione neuromuscolare è più soggetta a trasformazioni: da bambini avviene una rapida maturazione del cervello, quindi potenziare gli schemi motori fondamentali nel periodo in cui hanno luogo il rafforzamento delle connessioni neurali e il deterioramento delle sinapsi meno efficienti ed utilizzate (fenomeno del “pruning” sinaptico) risulta cruciale per lo sviluppo a lungo termine dell’atleta (Lloyd et al., 2014). 
Siamo giunti alla conclusione di questa produzione scritta, nella speranza che la lettura sia stata utile per conoscere o approfondire le tematiche dell’allenamento della forza in età evolutiva in maniera più dettagliata, avendo tra le mani delle fonti scientifiche attendibili. C’è da dire comunque che questo è un campo per alcuni versi inesplorato, sebbene si possa confermare ormai con certezza che le dicerie ancora diffuse nella popolazione riguardo a bambini e adolescenti siano prive di fondamento. Quando si è trattato di salute e stato di fitness, ad esempio, è emerso come siano insufficienti o comunque poco chiare le informazioni riguardo al profilo lipidico del sangue e alla fitness cardiovascolare, tant’è vero che nel documento di posizione della NSCA è indicato che ulteriori ricerche dovrebbero dare delucidazioni sui meccanismi responsabili dei benefici salutistici  associati allo strength-training, oltre ai potenziali benefici di quest’ultimo nei confronti di giovani con diabete, cancro, disabilità intellettive ecc. (Faigenbaum et al., 2009). Lo studio di Sander et al. riguardo ai giovani calciatori rimane attualmente l’unico che abbia preso in considerazione un programma di allenamento della forza così lungo (2 anni), e di conseguenza l’unico che abbia effettivamente avuto modo di valutare l’efficacia dell’applicazione di diverse metodologie per la performance nella corsa sui 30 metri, senza contare il fatto che (come già spiegato) non si è potuta dare una risposta al quesito che riguarda la presunta correlazione tra il miglioramento dell’1RM e l’effettivo aumento di massa muscolare dovuto agli allenamenti (Sander et al., 2013). O ancora, nello studio di Bostrom et al. relativo al sovrallenamento, il questionario compilato dai ragazzi non ha permesso di evidenziare altri sintomi propri della patologia (come la fiacchezza o l’irascibilità), ma solo ed esclusivamente gli infortuni riscontrati. Inoltre, quest’ultimi sono stati direttamente correlati ad un numero eccessivo di ore svolte nel praticare l’allenamento della forza in modo scorretto, ma nulla vieta di pensare che abbiano semplicemente influito anche altri fattori di rischio correlati all’assenza di supervisione (come l’uso improprio degli attrezzi o una tecnica inadeguata) (Bostrom et al., 2015). In definitiva, l’argomento ha sicuramente bisogno di ulteriori ricerche in merito, con la speranza che esse possano servire ai giovani per esprimere sempre di più il loro potenziale e per mantenersi in salute nei limiti delle loro possibilità. Una cosa è certa: la veridicità di quanto affermato inizialmente sull’idoneità, la sicurezza e l’efficacia dello strength-training in età evolutiva, è ormai dimostrata.  



venerdì 26 aprile 2024


COME SI IMPARA A GIOCARE

DAVIDE MAZZANTI  





Buongiorno amici, oggi vi propongo un nuovo post con del materiale tratto da un corso di aggiornamento organizzato dal comitato Regionale del Piemonte tenuto dal ex  tecnico della nazionale italiana femminile Davide Mazzanti sul tema “ L’allenamento del cambiopalla”. Sia la parte teorica sia quella pratica la potete visionare nei due video sottostanti.
        
Stefano Lorusso

«Spesso sento dire che con il metodo globale tutti giocano e la tecnica non la fa più nessuno; come se fare globale non voglia dire sviluppare le tecniche e che invece, l’unica strada per raggiungere questo obiettivo sia quella dell’allenamento analitico. Questo è assurdo. Il problema è che dobbiamo essere ancora più attenti ad individuare il problema, quali priorità trasmettere e in che modo proporlo senza uscire troppo dal contesto situazionale».  
                                      
                               
            

 VIDEO DIDATTICO 1





VIDEO DIDATTICO 2


giovedì 18 aprile 2024

 

L’ATTIVITÀ MOTORIA NELLE FASCE D’ETÀ DAI 5 AI 14 ANNI 





Attraverso il corpo non passano solo i processi di sviluppo fisico e fisiologico, bensì anche quelli deputati alla crescita ed alla maturazione di tutte quelle aree della persona, da quella cognitiva a quella affettivo-motivazionale a quella sociale. L’educazione motoria è da considerarsi una disciplina che concorre a tutti gli effetti 

A - Consolidare sicurezza e autostima; 

B - Acquisire i valori morali della lealtà, del rispetto, della solidarietà, della cooperazione; 

C - Valorizzare lo sport come gioco-divertimento, gioia di stare insieme.

Considerando che una singola disciplina non contiene da sola tutti i presupposti della motricità di base, è opportuno tenere sempre presente che le finalità primarie dell’intervento sportivo  privilegiano gli aspetti pedagogici ed il rispetto del diritto dei bambini di acquisire quante più competenze possibili prima di orientare la propria motricità verso forme più specialistiche.  

Corpo e movimento costituiscono uno dei nuclei fondamentali su cui si struttura l’intero processo di sviluppo del bambino. La crescita del bambino avviene, fin dai primi giorni di vita, anche attraverso la dimensione corporea e motoria. il corpo fin dalla nascita è messo in relazione e comunicazione con il mondo esterno.


 il bambino comunica essenzialmente attraverso il corpo 

 il corpo è sede di investimenti pulsionali e di relazione 

 la comunicazione del bambino piccolo ha come tramite il tessuto muscolare.

La ricerca completa realizzata dalla FIDAL per i bambini dei Centri di Avviamento allo Sport la potete trovare digitando il link sottostante


LE CAPACITÀ COORDINATIVE SPECIFICHE PER
L'ALLENAMENTO DELLA RICEZIONE







Le capacità coordinative definite anche con il termine di destrezza, sono strettamente legate allo sviluppo e la maturazione del sistema nervoso centrale (s.n.c.) di un individuo ed è la capacità di apprendere, adattare e controllare un movimento.

L'apprendimento di un gesto sportivo, come precedentemente detto, è facilitato dalla presenza in memoria di un ricco bagaglio di precedenti coordinazioni acquisite, pertanto il miglioramento della destrezza permette di: coordinare movimenti precisi, apprendere facilmente e rapidamente nuovi movimenti, adattare velocemente le precedenti esperienze motorie a nuove situazioni, esprimere in maniera efficace le doti di forza, resistenza e rapidità (capacità condizionali).

La coordinazione è una capacità innata dell'individuo, però deve essere sviluppata e allenata attraverso esercitazioni specifiche per ogni singola capacità. Il periodo migliore per allenare la coordinazione è indicato come “prima età scolare” che va 6-7 a 11-12 anni.  Questa età è ottimale per intervenire sulle capacità coordinative, infatti, l'apprendimento è molto veloce, anche se non corrisponde un'adeguata fissazione dei movimenti. Per questa ragione, tutto ciò che si è appreso deve essere ripetuto un numero sufficiente di volte, se si vuole che sia integrato stabilmente nel bagaglio motorio del bambino, inoltre è giusto aggiungere sempre nuovi stimoli variando anche le situazioni.
Quanto scritto avvalora la tesi che, un atleta per realizzare modelli di prestazione tecnica corretti ed efficaci necessità di una buona base di esperienze motorie. Questo faciliterà l'apprendimento delle tecniche sportive.

Le capacità coordinative si suddividono in: capacità coordinative generali e speciali che sono un espressione più fine e precisa di un movimento generico.

Le capacità coordinative generali sono:

Capacità di apprendimento motorio: consiste nella capacità di apprendere nuovi gesti e movimenti. Come già detto è molto fertile tra i 6 e 10 anni e raggiunge la massima capacità di apprendimento tra i 10 e 12 anni dove il fanciullo aumenta la capacità attentiva percependo il movimento da una forma più globale ad una più analitica.

Capacità di controllo motorio: è la capacità di controllare il movimento in funzione dell'obiettivo raggiungendo esattamente il risultato programmato del movimento. Questa capacità si sviluppa tra i 6 e i 7 anni e dopo questo periodo rallenta la sua strutturazione. Questa tappa se correttamente sviluppata favorirà la capacità del fanciullo di recepire meglio i feedback del proprio movimento, con ottimi risultati sul controllo motorio.

Capacità di adattamento e trasformazione del movimento: consiste nella capacità di adattare o trasformare il programma motorio prestabilito a mutamenti improvvisi della situazione, quindi, l'interruzione del movimento programmato e una nuova situazione che adotti altri schemi e programmi motori ugualmente efficaci. Questa capacità si sviluppa parallelamente alle altre due.
In sintesi all'inizio viene appresa una capacità motoria, successivamente è perfezionata (controllo e regolazione), in seguito adattata alle variazioni (trasformazione), che realizzerà una nuova situazione di movimento (adattamento) e di conseguenza un miglioramento


Le capacità coordinative speciali sono:

Capacità di coordinazione segmentarla o di combinazione e accoppiamento dei movimenti : permette di coordinare adeguatamente tra loro i movimenti dei segmenti del corpo stesso (es: coordinazione segmentaria  per il bagher con traslocazioni laterali a baricentro basso).

Capacità di orientamento spazio-temporale: questa, e una delle capacità coordinative più importanti da sviluppare per l'allenamento della ricezione. Questa consente di modificare la posizione e il movimento del corpo nello spazio e nel tempo, in riferimento ad un campo di azione definito (es. valutazione della traiettoria della palla dopo servizio avversario). L'atleta, mediante un calcolo ottico dovrà valutare la traiettoria della palla, calcolare la distanza che intercorre tra sé e la stessa e il tempo che dovrà impiegare per disporsi nella corretta posizione ed eseguire il fondamentale per la ricezione, (bagher o palleggio).


Capacità di anticipazione: anche questa capacità risulta fondamentale per l'allenamento della ricezione perché, permette di prevedere anticipatamente, sulla base di un calcolo probabilistico, sia l'andamento che il risultato di un'azione motoria, programmando tempestivamente le operazioni successive (spostamenti, corretti e anticipazione con riferimento alla previsione della traiettoria che effettuerà la palla).

Capacità di trasformazione: la pallavolo è uno sport di situazione che richiede continui adattamenti in base ai cambiamenti della situazione che sono stati percepiti o previsti mentre si sta eseguendo
un'azione, adattando il programma alle nuove esigenze (es:, adattarsi continuamente alla situazione con riferimento ai compagni e gli avversari).

Capacità di equilibrio: consente di mantenere in equilibrio il corpo o di recuperare la posizione desiderata dopo ampie sollecitazioni e spostamenti.

Capacità di reazione: come per la capacità di anticipazione anche, anche quella di reazione è funzionale per una corretta esecuzione tecnica. La velocità di reagire prontamente e adeguatamente agli stimoli di un segnale, con azioni motorie adeguate permetterà al l'atleta di migliorare la propria performance in ricezione.

Ci sono ancora altre due capacità coordinative che ritengo meno importanti nella programmazione dell'allenamento per la ricezione e sono più specificamente la capacità di ritmo e la fantasia motoria

Un ruolo importante per una corretta acquisizione delle diverse capacitã coordinative è data  delle informazioni che provengono dagli analizzatori: "esterocettivi", tattile, visivo, vestibolare, acustico e "propriocettivo", cinestetico. Questi assumono importanza diversa secondo la disciplina sportiva praticata. Le informazioni da parte degli analizzatori sono indispensabili alla realizzazione dei processi nervosi.
Nell'allenamento per la ricezione ricoprono un'importanza particolare il sistema visivo, (capacità di osservazione è messa a fuoco della palla, visione periferica con riferimento allo spazio e ai compagni), acustico (comunicazione con i compagni con riferimento alle responsabilità in ricezione, palla lunga corta, mia), vestibolare (capacità di orientarsi e ricollocarsi nello spazio dopo movimenti acrobatici o improvvisi cambi di direzione).

Nell'allenamento delle capacità coordinative e importante inserire all'interno degli esercizi anche movimenti propri della tecnica sportiva.
Di seguito vi darò alcuni consigli per poter programmare un piano di allenamento dove ci sono esercizi coordinative inseriti all'interno dell'allenamento tecnico.
Ricordo che ogni capacità, rispetta il principio fondamentale dell'allenamento, ovvero che nell'apprendimento di una capacità ci sarà una fase definita grezza, una fine e al termine un adattamento che consoliderà la capacità stessa.









sabato 6 aprile 2024

 

PARAMETRI DI STUDIO DELLA BIOMECCANICA DEL MOVIMENTO UMANO

PARAMETRI DI STUDIO DELLA DEL

 MOVIMENTO UMANO


 


In ambito di studio del movimento umano la Fisica è probabilmente la più utilizzata tra le scienze naturali. Nella sua accezione più classica la Fisica è quella scienza che studia i fenomeni naturali al fine di stabilire leggi che regolano le interazioni tra le grandezze che determinano i fenomeni stessi. Tra le branche della Fisica vi è la Meccanica classica ovvero quella materia che si occupa dello studio del movimento dei corpi.
Un diagramma estremamente esemplificativo della meccanica applicata è quello pubblicato da Picasso (2013) al quale possono essere aggiunte delle note che facilitano ulteriormente la comprensione del fenomeno (Figura 9)






Applicando quindi la Fisica e la Meccanica ai sistemi biologici si parla di Biofisica e di Biomeccanicae, più nello specifico, studiando il movimento umano finalizzato all’attività fisica o alla prestazione sportiva si parla di “Biomeccanica dello Sport” (Blazevich 2007).
Sebbene come visto in precedenza, il movimento del corpo umano dovrebbe essere analizzato sotto più punti vista, le indagini biomeccaniche prevalentemente utilizzate si sono sempre occupate dello studio del moto dei corpi rigidi attraverso la valutazione delle condizioni di equilibrio, della distribuzione e gestione delle forze e della descrizione quantitativa e qualitativa del movimento.
Questi tre aspetti, ovvero l’area di studio della Statica, della Dinamica e della Cinematica, hanno delle caratteristiche ben precise che vengono riportate da differenti autori di spicco nell’ambito dello studio del movimento umano (Enoka et al., 2008; Levangie et al., 2011; Hamill et al., 2015) e che possono essere anche approfonditi su qualunque libro di testo di Fisica.


PARAMETRI STATICI
La Statica si occupa dello studio delle condizioni di equilibrio meccanico e di conservazione della quiete di un oggetto, anche dopo l’intervento di forze esterne. Spiega per lo più la capacità di un sistema di resistere alle perturbazioni che agiscono su di esso. Applicazioni dell’interpretazione statica durante l’analisi del movimento umano sono ad esempio gli equilibri tra muscoli antagonisti su un determinato distretto, oppure le analisi delle oscillazioni posturali che sono legate alle tensioni della muscolatura.


PARAMETRI DINAMICI
La Dinamica, anche detta Cinetica, si occupa di studiare le cause (ovvero le forze) che determinano e modificano il moto di un oggetto. Spiega per lo più gli effetti che hanno le forze che agiscono su un sistema nel modificarne il proprio stato, ovvero aumento o riduzione del moto. Applicazioni dell’interpretazione Dinamica durante l’analisi del movimento sono ad esempio lo studio della capacità di accelerazione o di frenata di un atleta attraverso l’impiego di forza al suolo durante il cammino, la corsa o i salti.

PARAMETRI CINEMATICI
La Cinematica si occupa di descrivere in forma quantitativa il moto di un oggetto, senza tenere conto delle cause che lo provocano o lo modificano. I parametri che vengono considerati sono quindi lo spazio, il tempo e il loro relativo rapporto. La Cinematica descrive per lo più i parametri del movimento in termini di posizione, velocità e accelerazioni sia lineari che angolari.
Applicazioni dell’interpretazione Cinematica durante l’analisi del movimento sono ad esempio lo studio delle distanze coperte a differenti velocità e con quali cambi di accelerazioni oppure le posizioni nello spazio e il relativo movimento dei singoli punti del corpo presi in considerazione per l’analisi. Come anticipato, lo studio della Cinematica del movimento umano può essere svolto sia per le misurazioni lineari che per tutti i parametri angolari; per cui si descriverà la quantità dell’angolo, la velocità e l’accelerazione angolare oltre quella lineare.

APPROFONDIMENTI SULL’ANALISI CINEMATICA DEL MOVIMENTO UMANO 
Quali sono le caratteristiche principali delle procedure di analisi Cinematica?
L’analisi dei descrittori cinematici del movimento può essere svolta attraverso metodiche che utilizzano sensori che rilevano le posizioni spaziali del soggetto in moto oppure metodiche che filmano e video-riprendono il soggetto mostrando il suo movimento. Tutte le tecniche che offrono la possibilità di visualizzare il movimento del soggetto e seguirlo nella sua evoluzione vengono definite “fotogrammetria su piccola scala” (Dal Monte, 1977; Dal Monte, 1983; Cappozzo, 1986; Gazzani, 1987).
Perché risulta così utile e immediatamente comprensibile l’analisi Cinematica?
Se si riflette su cosa osserva un coach o un istruttore sportivo all’interno del processo di allenamento appare chiaro intuire che l’aspetto che più si utilizza per correggere la tecnica di un gesto è la “geometria del movimento”, ovvero la forma e la modalità spazio-temporale con cui si compie il gesto stesso.
Quanto affermato non ha lo scopo di sminuire lo studio dei parametri della Dinamica (generatori del movimento) o di quelli della Statica (stabilizzanti del movimento), sarebbe questa una sciocca proposta metodologica in quanto non si possono scindere i diversi parametri della Meccanica. Allo stesso tempo è indubbiamente vero che per l’analisi dei parametri della Dinamica e della Statica si necessita sia di una determinata tipologia di strumentazione che di una ben specifica formazione per l’interpretazione.
Al contrario i parametri della Cinematica sembrano essere più intuitivi per gli operatori del movimento e inoltre necessitano di strumentazioni meno complesse.
Per capire quanto scritto si può prendere ad esempio una corsa rettilinea su pista: l’allenatore vede il proprio atleta correre e se volesse esprimere pareri sulla velocità e sulla frequenza di movimento delle gambe e delle braccia gli basterebbe contare il numero di movimenti eseguiti in un determinato tempo, oppure se volesse esprimere pareri sulla velocità di corsa potrebbe farlo semplicemente con l’ausilio di un cronometro.
Questo semplice esempio è totalmente afferente alla sfera d’indagine della Cinematica.
Al contrario, se lo stesso allenatore volesse esprimere pareri sulla forza espressa a terra o sulla forza che deve applicare per mantenere la stessa postura in caso di forte vento a sfavore, non potrebbe farlo a occhio nudo né con un semplice cronometro e probabilmente, una volta ottenuti i dati da soggetti terzi, potrebbe anche accadere che l’allenatore non sia in grado di gestire correttamente questi parametri per l’allenamento.
La Cinematica descrive quindi il movimento come lo spostamento da una posizione spaziale ad un’altra in un dato tempo, calcolandone la quantità dello spostamento e in forma derivata la velocità e l’accelerazione attraverso cui lo spostamento avviene nel tempo (Enoka 2008).
Si può pertanto asserire che il movimento avviene in quattro dimensioni: tre afferenti allo spazio e una al tempo.
Facendo riferimento allo spazio il movimento è tridimensionale in quanto 3 sono le dimensione classiche dello spazio geometrico (Figura 10).










La tridimensionalità permette un’infinita quantità di gradi di libertà e direzioni verso cui dirigere il movimento, immaginando ogni movimento definito da un vettore (una freccia) rappresentato da intensità, senso e direzione (Figura 11).


La quarta dimensione, ovvero quella temporale, indicizza e categorizza la durata di un movimento, qualificandolo come veloce o lento a seconda dei riferimenti presi in considerazione.
Nell’analisi del movimento la posizione indica le coordinate spaziali (x;y;z) rispetto a un determinato sistema di riferimento scelto.
I sistemi di riferimento possono essere di natura “globale” (es. il sistema di riferimento terreste o, più nello specifico, il terreno di gioco in cui si svolge il gesto sportivo) oppure di natura “locale” (es. il bacino dell’atleta o un qualunque segmento corporeo attorno al quale si vogliono misurare degli spostamenti di altri segmenti corporei).
I sistemi di riferimento possono essere di natura tridimensionale (3D) e bidimensionale (2D) sacrificando così una dimensione spaziale (Figura 12) ma questo dipende molto dallo strumento utilizzato per l’analisi del movimento


A prescindere dal sistema di riferimento, la variazione di posizione viene indicata come distanza percorsa e viene misurata in metri (m), la distanza percorsa nel tempo viene indicata come velocità e viene misurata in metri al secondo (m*s-1), infine la variazione di velocità nel tempo all’interno di un movimento viene indicata come accelerazione e viene misurata in metri al secondo quadrato (m*s-2).
Per comprendere meglio la relazione esistente tra posizione, velocità e accelerazione si può fare una semplice simulazione di dati medi su uno sprint di 30 metri. La simulazione prevede che il soggetto parta da fermo e al segnale del via cominci uno sprint fino a raggiungere la distanza di 30 metri. Durante la prova il tempo viene registrato ogni 5 metri e quindi per ogni intertempo vengono calcolate la velocità e l’accelerazione media (Figura 13).

In questo esempio si pone l’origine del sistema di riferimento nel punto di partenza dello sprint, per cui la posizione del soggetto che corre sarà calcolata sull’asse di avanzamento dell’esercizio rispetto al punto di partenza e sarà inevitabilmente sempre crescente.
Riportando in un grafico a dispersione Posizione vs TempoVelocità vs Tempo e Accelerazione vs Tempo i dati presenti in Figura 13 si ottiene l’andamento di ogni valore in funzione del tempo (Figura 14).


DATI DI ESEMPIO 
Prima di descrivere il grafico occorre sottolineare che questi dati sono riportati a mero scopo di esempio. Sicuramente per un’analisi approfondita, in particolar modo dell’accelerazione, è poco utile studiare i dati medi ogni 5 metri ma sicuramente è più interessante avere un tracciato continuo anziché discreto.
In ogni curva del grafico è importante notare alcuni aspetti: ad esempio nella curva Posizione vs Tempo la distanza guadagnata in funzione del tempo mostra una crescita ovvero una inclinazione differente tra le prime e le ultime fasi dello sprint. Ciò suggerisce che ci sia stato un cambiamento nel tasso di spostamento del soggetto. Questo cambiamento rappresenta la velocità. Anche la curva Velocità vs Tempo mostra una differente pendenza tra la parte iniziale e quella finale.
All’inizio dell’esercizio cresce e poi, arrivati a circa metà della prova, si stabilizza. Questo “plateau” spiega la pendenza costante della curva Posizione vs Tempo che si osserva dai 15 metri in poi. L’aumento importante della velocità nella prima parte della curva rappresenta l’accelerazione. La curva Accelerazione vs Tempo mostra una salita repentina nelle prime fasi dell’esercizio che va a scemare azzerandosi dopo la metà dell’esercizio.
Lo sprint è un’attività in cui il soggetto deve accelerare la propria massa per raggiungere la propria velocità massima e poi mantenerla. Il soggetto, infatti, dopo aver accelerato notevolmente, cerca di mantenere la velocità guadagnata diminuendo la componente d’accelerazione. Se così non fosse ci si troverebbe di fronte a un moto uniformemente accelerato in cui la velocità sarebbe sempre in costante aumento.
Nell’esempio appena discusso la distanza coperta correndo corrisponde allo spostamento dal punto di inizio a quello di fine esercizio.
Se la stessa distanza di 30 metri si copre a navetta lo spostamento si annulla, in quanto il punto di inizio dell’esercizio coincide con quello di fine. In questo caso il sistema di riferimento viene fissato sempre nel punto di inizio dell’esercizio quindi nel punto di inversione del verso di corsa si dovrebbero utilizzare dei valori negativi o a ritroso per indicare la posizione in funzione del tempo.
Per questa ragione, la posizione in funzione del tempo sarà ora chiamata “distanza percorsa” onde evitare l’utilizzo di numeri negativi (fase di ritorno) che potrebbero portare confusione e fraintendimenti nella lettura. Anche la velocità e l’accelerazione seguono questa convenzione per cui saranno positive ogni qual volta i Δ della distanza percorsa (velocità) e della velocità di marcia (accelerazione) saranno positivi e negativi nel caso opposto. Quindi una accelerazione positiva indicherà aumento di velocità e una accelerazione negativa indicherà rallentamento e frenata da parte del soggetto; non a caso il principio della corsa a navetta è proprio quello di testare l’abilità del soggetto nel cambiare senso, quindi nel saper gestire una frenata e una successiva ripartenza. Si riportano di seguito i dati sperimentali in un grafico Distanza percorsa vs Tempo, Velocità vs Tempo e Accelerazione vs Tempo di una corsa a navetta massimale 15+15 metri (Figura 15).



La distanza percorsa aumenta in funzione del tempo come nello sprint di 30m in linea, mentre la velocità e l’accelerazione hanno dei comportamenti completamente diversi rispetto allo sprint lineare.
La curva Velocità vs Tempo appare infatti ascendente in una prima fase, che coincide circa con i primi 7,5-8 metri di distanza percorsa, poi si riduce contestualmente a una curva Accelerazione vs Tempo negativa.
La velocità ai 15 metri dovrebbe valere zero, ma dal momento che si stanno analizzando i dati medi non si visualizza questo comportamento (stessi problemi già rilevati nell’esempio dello sprint lineare). Dopo il cambio di verso di corsa si assiste a una nuova accelerazione con relativo incremento della velocità.

domenica 31 marzo 2024

 



IL FONDAMENTALE DI MURO DALL’ANALITICO AL GLOBALE







“Dalla didattica del muro all’identificazione delle tecniche specifiche per le varie zone della rete”

L’efficienza del muro è importantissima ai fini del risultato delle partite di pallavolo in quanto: 

• permette di realizzare punti diretti;

• favorisce il lavoro della difesa “smorzando” e controllando gli attacchi avversari;

• provoca l’errore d’attacco avversario chiudendo all’attaccante i colpi forti e preferiti;

• riduce l’area di campo da difendere a terra quando esiste una buona correlazione “muro-difesa”.

Tre sono le componenti fondamentali per l’effettuazione di un muro efficace:

• presupposti di carattere attentivo e cognitivo sono la capacità di osservazione della ricezione avversaria, la lettura della gestualità del palleggiatore e l’osservazione dell’attaccante;

• da un punto di vista biomeccanico i punti chiave sono la velocità di spostamento laterale, la frontalità a rete e la verticalità del salto, l’elevazione, la penetrazione delle braccia oltre la rete e la manualità per controllare il piano di rimbalzo così creato oltre la rete;

• il parametro coordinativo determinante che unisce i due precedenti aspetti è la scelta del tempo di salto.

Lo scopo del muro è di intercettare l’attacco avversario e respingerlo nel campo opposto al fine di ottenere il punto diretto (“muro attivo”), ma anche di deviare la palla in alto o indietro nel proprio campo in modo tale da favorire l’intervento della difesa chiamato “muro passivo”.
Il muro “attivo” è la tecnica di muro più aggressiva, va eseguito oltre la rete e ponendo le mani il più vicino possibile alla palla. In particolare per alzate basse o a filo di rete, l’atleta deve essere abile a piazzare le sue mani e “chiudere” la parte superiore della palla coprendola. Si deve penetrare oltre la rete il più possibile e rimanere più tempo che si può oltre la rete. L’obiettivo delle braccia a muro è quello di “andare incontro alla palla” e di “murarla” prima che passi la rete.
Il muro “passivo” invece è usato quando l’attaccante avversario possiede un vantaggio notevole sul giocatore a muro, e quando si è in ritardo. L’obiettivo di questa tecnica è quello di smorzare gli attacchi avversari e permettere alla difesa di eseguire il contrattacco. Eseguendo un muro passivo, i palmi delle mani devono entrambi essere parallele al nastro della rete e un po’ piegati all’indietro. Il muro passivo ha diverse applicazioni, ad esempio è utilizzato per coprire parte del campo da un attacco eseguito con una specifica angolazione oppure per toccare la palla e rallentarne la velocità in modo tale da poter eseguire il contrattacco.
Un’altra funzione importante del muro è coprire alcune aree del campo influenzando la direzione dell’attacco avversario e così riducendo l’area di campo che la propria difesa deve coprire.

POSIZIONE E POSTURA DI PARTENZA

La postura di partenza: Nella posizione di attesa l’atleta è in posizione comoda ed equilibrata, i suoi piedi sono posizionati uno vicino all’altro tanto quanto la larghezza delle spalle e perpendicolari alla rete circa 50 cm, da essa. Le braccia sono tenute leggermente più alte delle spalle, avambracci paralleli al suolo, mani parallele alla rete e dita ben aperte. La schiena deve essere eretta, le ginocchia leggermente piegate e la pianta dei piedi totalmente a terra.
Postura per lo spostamento veloce
Arti inferiori attivi e braccia relativamente basse
Postura per il salto
Arti inferiori in caricamento e braccia distese in alto Il posizionamento lungo la rete
Competenze principali
L’attaccante di propria competenza principale
Competenze secondarie
La possibilità di aiutare il compagno
Distanza dall’obiettivo rispetto al tempo di lettura situazionale

GLI SPOSTAMENTI

La relazione palla – asse corporeo e non palla – mani negli spostamenti a muro

- Il passo accostato

- Il passo aperto ed incrociato con arrivo direttamente allo stacco

- Il passo aperto ed incrociato con arrivo in apertura e stacco

La partenza con il passo incrociato

I modelli di riferimento per altre forme situazionali di spostamento

Passo accostato: dalla posizione di partenza ci si sposta lateralmente mantenendo le spalle parallele alla rete, effettuando così un’abduzione della gamba in direzione dello spostamento, cui segue la seconda che si accosta alla prima. Risulta molto importante l’azione dei piedi ed in particolare per la successione tallone- pianta- punta e l’orientamento perpendicolare a rete di entrambi i piedi al momento del salto. Le braccia, pur rimanendo flesse e con le dita rivolte verso l’alto, accompagnano lo spostamento con uno slancio per basso-dietro e si estendono durante il salto.

Passo incrociato: la prima gamba a muoversi è quella opposta alla direzione dello spostamento (la destra per andare a sinistra) che “incrocia” l’altra passandole davanti. L’appoggio del piede avviene con un orientamento di 45° rispetto alla rete, in modo da favorire il richiamo della seconda gamba vicino alla rete. L’appoggio a terra della seconda gamba dovrebbe “idealmente” essere perpendicolare alla rete in modo da recuperare la frontalità, ma in realtà questo spesso non succede per cui la ricerca della posizione giusta avviene mediante l’azione del busto durante lo stacco e il salto. L’azione delle braccia è molto variabile: nelle descrizioni degli allenatori dovrebbero effettuare uno slancio per basso-dietro a gomiti flessi e mani in flessione dorsale in modo tale da non allontanarsi e favorire la penetrazione oltre la rete nel salto; in realtà spesso i giocatori slanciano le braccia estese come nella rincorsa d’attacco e poi le avvicinano a rete accompagnando la torsione del busto. Spesso si crea così uno spazio molto grande tra braccia e rete e la palla si infila o il giocatore a muro non riesce a controllare l’orientamento del piano di rimbalzo e la palla rimbalza in modo incontrollato (l’attaccante realizza il punto attraverso un “mani-fuori”).  

Due passi accostati: il giocatore si muove con lo stesso piede nella direzione di spostamento, richiama la seconda gamba, apre di nuovo con la prima, accosta la seconda e infine salta in modo da avere sempre frontalità all’attaccante e alla rete.  

Passo apertura e incrocio: è una tecnica considerata caratteristica dei centrali nello spostamento verso l’ala, ma spesso anche dalle ali nello spostamento verso l’asta che delimita lateralmente lo spazio di rete utilizzabile. L’appoggio a terra del primo piede (l’apertura laterale) avviene ad una distanza da rete, nella direzione dello spostamento che permette alla seconda gamba di avere più spazio a disposizione per incrociare (ma senza mai allontanare o avvicinare l’asse corporeo alla rete). L’appoggio di questa a terra avviene (sempre secondo l’ideale descrizione degli allenatori) con un orientamento di 45 gradi rispetto alla rete in modo da favorire il richiamo della prima gamba il più vicino possibile a rete e il recupero della frontalità. Si ha in questo tipo di spostamento una notevole perdita di frontalità che viene compensata da un’anticipata torsione del busto al momento dell’appoggio del secondo piede durante lo stacco e il salto. Il contromovimento delle braccia è più ampio (data anche la maggiore distanza dello spostamento) e dovrebbe comunque essere effettuato, come nello spostamento semplice, a braccia flesse. Uno degli errori che si notano più spesso è invece che le braccia vengono distese con conseguenti maggiori difficoltà a recuperare penetrazione e frontalità a rete.  

Apertura – incrocio – balzo: è lo spostamento che nel settore femminile si utilizza più frequentemente per la rapidità di spostamento che lo caratterizza. È il tipico spostamento della centrale verso le ali. L’apertura laterale della prima gamba (la stessa della direzione di spostamento) avviene leggermente staccata da rete in modo da favorire l’“incrocio” della seconda gamba, segue poi un balzo laterale e il salto verticale. Questa tecnica favorisce un maggiore utilizzo delle capacità elastiche ed è anche per questo che trova maggiore applicazione tra le donne, dotate di minori capacità di forza massima. Lo slancio delle braccia è ampio ed è effettuato comunque a braccia flesse.  

Tutti passi accostati: è quello spostamento che viene utilizzato nella maggior parte dei casi su una palla alta scontata per cui i giocatori e le giocatrici hanno tutto il tempo di mantenere frontalità all’avversaria.  

Corsa e salto: il giocatore si gira verso la direzione di spostamento e di corsa avanti va a effettuare un arresto e salto dopo aver ruotato il busto verso la rete e slanciando le braccia in alto. Questa tipologia di spostamento è forse la meno efficace in termini di efficienza tecnico-tattica e presuppone un grosso controllo del movimento in quanto spesso il giocatore rischia di fare invasione (il regolamento vieta di toccare la rete) o di arrivare male orientato con le mani sopra la rete favorendo il “mani-fuori avversario. 

RIFERIMENTI PER IL PUNTO DI SALTO 

I punti di riferimento 

- Posizionamento del salto 

- Osservazione e comprensione del tocco di palla dell’alzatore 

- Visione della rincorsa dell’attaccante e previsione del punto di stacco 

- Posizionamento del piano di rimbalzo su punti di riferimento presi sul busto dell’attaccante (spalle e viso) 

A volte si deve saltare per effettuare il muro direttamente dalla postura di partenza, altre volte si riesce ad essere in anticipo di fronte all’attaccante avversario e si effettua così un salto verticale sul posto, frequentemente il salto segue lo spostamento senza soluzione di continuità. I movimenti per effettuare il salto prevedono dapprima un contro movimento: si deve per prima cosa abbassare il peso del corpo portando in basso le braccia, piegare le ginocchia a circa 90° e flettendo le anche. Importante è la capacità di chiusura dell’angolo alla caviglia, la mobilità dell’articolazione tibio–tarsica.  

Durante questi movimenti di compressione l’atleta a muro deve tenere il busto eretto e gli occhi sulla palla per spostare quanto prima l’attenzione sull’attaccante, poi salta verticalmente cercando di raggiungere la massima altezza. Dopo lo stacco le braccia vengono estese e si protendono in avanti-alto con un angolo che permette di penetrare lo spazio aereo sopra la rete. Gli arti superiori non devono estendersi verticalmente sopra il capo per poi essere portati in avanti con un movimento verso il basso, ma aggredire direttamente lo spazio nel campo avversario (altrimenti si rischiano invasioni a rete o muri fuori tempo). Le braccia devono essere tenute tese e parallele fra loro con una distanza tra le stesse inferiore all’ampiezza della palla. Le dita devono essere aperte con i pollici che si tendono l’uno verso l’altro e i palmi allineati con il piano di rimbalzo. In caso di muro d’ala si deve tenere la mano esterna rivolta verso il centro del campo avversario in modo tale da indirizzare il piano di rimbalzo verso il centro del campo avversario. I polsi devono essere tenuti rigidi e pronti al contatto con la palla. Il grado della loro flessione dipende dal tipi di muro: per un muro attivo i polsi devono essere orientati leggermente verso il basso; per un muro passivo o di contenimento i polsi devono essere flessi all’indietro per favorire il rimbalzo della palla verso l’alto. All’apice del salto, appena prima di entrare in contatto con la palla, si devono contrarre i muscoli delle spalle e dell’addome. Questa azione fornisce la stabilità necessaria a resistere all’impatto con la palla. Le gambe devono essere tenute tese e leggermente protese in avanti per controbilanciare l’azione del busto; portando infatti avanti le ginocchia flesse, si abbasserebbero il bacino e le spalle limitando di conseguenza l’altezza raggiungibile con gli arti superiori. Le mani devono essere poste nella posizione corretta e tenute bloccate; in questo caso la palla devierà nel modo e nell’angolo desiderato. 

I RIFERIMENTI PER IL TEMPO DI MURO

 (per quanto tempo il piano di rimbalzo resta efficace sopra la rete) 

- I punti di riferimento 

- Tempo di salto (quando salto) 

- Salto in rapida successione rispetto allo stacco dell’attaccante 

- Criteri di adattamento del tempo di salto Ritardare accentuando il contro movimento Ritardare abbassando le braccia nel contromovimento 

- Anticipare adeguando lo stacco allo stacco dell’attaccante (prerogativa del muro ad opzione del centrale) 

IL PIANO DI RIMBALZO

 (la testa resta dietro il piano di rimbalzo e non incassata tra le spalle)

-  Relazione piano di rimbalzo – asse   corporeo 

- Piano di rimbalzo costantemente avanti rispetto all’asse corporeo 

- Compattezza del piano di rimbalzo 

- Apertura delle mani 

- Estensione dei gomiti 

- Chiusura delle spalle 

Aggressività del piano di rimbalzo 

- Muro alto / muro invadente 

Aspetti metodologici nell’allenamento del muro 

- Allenamento tecnico analitico 

- Gli spostamenti lungo la rete Automatizzazione delle sequenze di appoggi

-  Ritmi esecutivi delle spinte 


VIDEO







Il controllo dell’impatto con la palla 

- Orientamento del piano di rimbalzo 

- Gestione dell’altezza e dell’invadenza del muro 

Allenamento alla sequenza di focalizzazione dei punti di riferimento

- Punti di riferimento corretti 

- Criteri di interpretazione corretti 

Allenamento situazionale 

- L’obiettivo determina la tecnica 

- Salvaguardia del piano di rimbalzo 

- Salvaguardia della finalità 

Le esercitazioni Preparatorie

-  (enfasi sui punti di riferimento) 

- In situazione facilitata (poche variabili)

 - In situazione standard rispetto alla casistica del gioco (timing tecnici 
   e ritmo delle   azioni) 

- In situazione resa 

- complessa da espedienti metodologici riduzione dei tempi tecnici a disposizione 

- complessità situazionale (numero di variabili in gioco)